giovedì 10 dicembre 2009

Lezione 23.11.2009. Riassunto di Chiara Vitali

La lezione si è incentrata su un’analisi della rappresentazione filmica del tempo onirico, un tempo molto più legato alla realtà psicologica che alla cronologia. La visione di Meshes of the Afternoon - cortometraggio di Maya Deren - e dell’inizio di Il Posto delle Fragole di Ingmar Bergman, ci ha permesso di riflettere sul sogno come esperienza di tempo non lineare estremamente articolata e complessa, sia attraverso una condivisione di gruppo sulla propria esperienza personale, sia attraverso le teorie di Freud e Lacan e inoltre di individuare alcune differenze tra la rappresentazione del tempo nel cinema classico d’autore e nel cinema sperimentale in termini di linguaggio cinematografico.

Presupposti teorici psicanalitici

TEORIA DEI SOGNI DI FREUD
A) Teoria del residuo diurno
Ogni sogno parte da un elemento occasionale accidentale della realtà che per qualche motivo, anche casuale, ha catturato la nostra attenzione (es. il cadere delle chiavi dalla scala, è un evento centrale nel film, scatenante della futura dimensione onirica che sarà anche legata al suono delle chiavi che cadono. È come se le chiavi si fossero attaccate nella mente a riferimenti simbolici e sensoriali, che quindi ritornano nel sogno in una ricorrenza di rimandi a specchio)

B) Condensazione e spostamento
Sia in termini spaziali che temporali nel sognare si verificano 2 processi:

CONDENSAZIONE: Vari elementi che si ritrovano in uno
(es. coltello-specchio-chiave nel film di Deren, oppure un personaggio che in realtà si riferisce ad un’altra persona)
Corrisponde alla METAFORA
Es. "nido d'amore": nido= metafora di piacere, protezione ecc.
SPOSTAMENTO: Un elemento spostato su un’altra cosa
(es. aggressività spostata su un oggetto o su una terza persona)
Corrisponde alla METONIMIA
Una parte per il tutto
Es. “Marta è una bionda”: il colore dei capelli è solo una delle caratteristiche di Marta, ma è usata per riferirsi a tutta la persona

TEORIA DELLA FASE DELLO SPECCHIO DI LACAN
La soggettività non è solamente collegabile a un’esperienza interiore del soggetto o alla sua entità corporea e genetica, ma si costituisce anche fuori dal soggetto. L’identità è tanto una funzione interna che esterna all’individuo. Ci sono due momenti fondamentali che riguardano la funzione esterna e che determinano la soggettività dell’individuo:
1) lo sguardo dell’altro (la madre, il suo sorriso = affetto, rassicurazione, comunicazione con l’altro. È essenziale per la considerazione e la fiducia in sé che il bambino svilupperà crescendo, ma anche per l’adulto lo sguardo, il sorriso, il riconoscimento dell’altro è fondamentale. L’uomo è l’unico essere umano che produce la funzione chiamata sorriso con i muscoli facciali. Es. nel film la donna vede se stessa solo ponendosi al di fuori di sé, come osservatrice, come se fosse un’altra persona)
2) vedersi allo specchio (a circa 6 mesi il bambino ha per la prima volta una percezione unitaria di sé guardandosi allo specchio ed essendo in grado di riconoscersi grazie a un’immagine riflessa, altrimenti non si riconoscerebbe come un’unità. Es. vedi nel film l’inizio presenta solo un’ombra e un corpo frammentato che gradualmente si delinea)

Maya Deren
Film-maker newyorkese attiva dal ’43 al ’50.
Deren ha fatto solo pochi film, lavorando in grande isolamento, fuori dai circuiti dell’emergente industria del cinema hollywoodiano.

Meshes of the Afternoon (N.B. mesh= network, net, web, entanglement)
Cortometraggio del ’43, girato a Los Angeles, durata: 15 min. Muto.
Tema: rapporto tra realtà, sogno e finzione cinematografica. Ma si tratta preminentemente di un film sul cinema.

Tanto a livello di struttura che di contenuto vi è un sovrapporsi e un intersecarsi dell’elemento simbolico (specchio), strutturale (cinema), tematico-narrativo (sogno) che portano in una direzione di DISTANZA dal sé, cioè vedere se stessi da un punto di vista altro attraverso una proiezione fuori dal sé. Vi è un continuo gioco tra questi diversi piani e una CICLICITA’, una RICORRENZA fatta di continui rimandi a scene e a oggetti seppure con differenze, alternata a interruzioni brusche (tipiche degli incubi) nella creazione di una distanza potenzialmente infinita, in un intersecarsi di piani temporali che non si raggiungono mai del tutto in una creazione multipla di distanze, perché dato un piano vi si può costruire sopra un meta-livello e così via in un infinito gioco di specchi (vedi i frammenti dello specchio, la lama del coltello, la faccia dell’altro che sei tu). La continua reversibilità tra il prima e il dopo determina naturalmente anche una reversibilità dei rapporti tra causa ed effetto per cui la struttura narrativa non segue un tempo lineare, ma onirico e psicologico riferito alla molteplicità dell’esperienza.

SULLA DISTANZA DAL SE’
Questo concetto si può applicare a diverse riflessioni di carattere generale sull’arte, sulla cultura e su atteggiamenti come il razzismo, purtroppo ancora attuali ai giorni nostri.
ARTE - L’operazione artistica funziona con questa stessa creazione di distanza tra il pensare una cosa e portare avanti un conseguente progetto e interagire con gli altri. Fare le cose creando uno spazio critico, una distanza che ti pone in due posti contemporaneamente, dentro il tuo progetto e fuori. Riesci a farlo solo se hai la possibilità di una sponda: nelle relazioni e situazioni riesci a vedere una cosa solo se ti metti nei panni di qualcun altro. Riesci a farlo solo se hai una dimensione affettiva: se provi affetto per qualcuno riesci più facilmente a metterti nei suoi panni, poi fondamentale è la fiducia. L’affetto quindi è anche un canale che ti porta a distanza da te. È il movimento che fa l’artista rispetto a cose qualunque. Significa saper osservare da fuori (da un lato essere convinti, dall’altro saper smontare criticamente un proprio lavoro, vedere i limiti). La distanza critica non è indifferenza, anzi è il contrario. È una tensione interiore che si crea sfidando la propria intenzione: da un lato la si potenzia al massimo, dall’altro la si critica per potenziarla ancora di più (in questo somiglia al gioco di coppia). Parlare di sé è già creare questa distanza.
CULTURA – di base c’è l’idea sbagliata di definire l’identità come una cosa conchiusa, ma in realtà l’identità dipende strutturalmente dal suo opposto. La cultura non può essere definita in termini culturali e genetici, ma si può definire solo in base all’altro da sé. Per questa ragione la reazione razzista è fobica perché si ha paura di ammettere che l’altro è essenziale per la definizione della propria identità, è necessario che ci sia ma nello stesso tempo disloca.

Differenze tra il linguaggio cinematografico di Bergman e di Deren
In Bergman la presenza di una voce narrante si accompagna a una narrazione che si snoda secondo un tempo cronologico lineare che pone lo spettatore al di fuori della narrazione in un ruolo passivo di osservatore esterno, testimone di una finzione facilmente comprensibile. Deren invece, proponendo una sovrapposizione e una compenetrazione di diversi piani (sogno, finzione cinematografica, realtà), non solo mette in discussione la differenza tra il piano del sogno e il piano della realtà, ma mette anche in discussione il linguaggio filmico stesso, rendendolo di fatto più vicino alla densità della realtà psicologica dello spettatore e paradossalmente per questo da lui non immediatamente decifrabile (si è rivelata preziosa una seconda visione del film). Lo spettatore nel suo interrogarsi sui significati di questo narrare attraverso piani sovrapposti si fa osservatore attivo, interno al film.

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