lunedì 27 ottobre 2008

domenica 26 ottobre 2008

The Dark Side of the Rainbow



Ok, ora mi avete convinto! Sembra che sia anche una cosa parecchio famosa... ignoranza mia...

Buona Settimana!

Filipa
Lezione del 13/x/2008
scusate il ritardo

Nella prima parte della lezione è continuata la lettura de Il carattere di feticcio della musica e la regressione dell'ascolto di Adorno.
Nel terzo libro de La Repubblica di Platone l'autore si scaglia contro un certo tipo di musica che si proporrebbe come dannosa nei confronti della società; si tratterebbe della musica "d'evasione" antiautoritaria e antimitologica, che si esprime andando a toccare la sensorialità e le corde più intime dell'animo e che scaturisce dalla soggettività.
Platone le contrappone, e ritiene invece degna, la musica "mitologica" ed eroica, di stampo militare che invece ha una tensione più sociale e sopratutto più disciplinante.
Secondo Adorno, attraverso vari mutamenti, si è arrivati a uno stato in cui l'espressione affermata della musica "d'evasione" si è invertita diventando strumento di un sistema autoritario, scalando però a un livello prettamente commerciale; quella musica che permetteva l'ascesi è componente prima della reificazione musicale.
Nella seconda parte della lezione si è presa in considerazione un idea del nostro collega Jacopo, interessato a sviluppare l'influenza dell'alcol nella percezione dell'arte contemporanea.
In questa ottica si è posta all'attenzione la possibilità di proporre un' opera artistica che si esprima attraverso il pubblico.
Ad aggiungere suggestioni in questo senso è il fatto che esistano manifestazioni enologiche basate su tappe di bevuta (Enotica, Ombralonga, Maratombra), e quindi lo sviluppo dell'idea potrebbe andare verso una direttiva da dare al pubblico partecipante, attraverso tabelle etilometriche.
E' stata presa in considerazione anche la possibilità di rendere fruibile la mostra solo a un pubblico non astemio, ma questo sottrarrebbe un elemento d'osservazione neutrale che sarebbe lo spettatore dell'eventuale opera.
Meno contingenti altre impressioni, comunque riferite al bere, come la competenza enologica, ovverosia l'incompetenza inevitabilmente diffusa nel distinguere e gustare i vini, fino a sviluppi quali la produzione di vini contraffatti; quello che di solito è ritenuto certo, come per tutte le cose, è che se un vino costa molto deve essere per forza molto buono.
Altra suggestione è legata al collezionismo, ovvero l'acquisizione di vini molto costosi non finalizzati al consumo, l'intento paradossale ha portato automaticamente all'ironico pensiero di un inestimabile vino in cartone (consiglio il Bricchello) da collezione.
Dove porterà la ricerca di Jacopo? verso quali annebbiati traguardi giungerà? L'augurio è di barcollare ma non mollare.
http://it.youtube.com/watch?v=7CPDmGH50YQ :



per una settimana di buonumore! francesca

giovedì 23 ottobre 2008

LEZIONE DEL 17 OCT. 08



Continuiamo la lettura del testo di Adorno, pag. 128-129.

Nel periodo post-industriale nasce la MERCE: qualcosa di alieno sia alla mano di colui che la produce (l’operaio che all’interno della catena di montaggio ripete infinitamente la stessa azione) che a quella di colui che la compra. In essa si possono distinguere il VALORE D’USO (legato alla sua funzione) e quello DI SCAMBIO (il prezzo per possederla). Il problema nasce perché quando il prodotto diviene merce il suo valore d’uso perde via via importanza mentre ne acquista il suo valore di scambio. La nuova domanda capitalistica diventa dunque :- Quanto costa?- che si sostituisce alla più logica :-A cosa serve?-. Così per assurdo assumono valore di scambio anche merci che non servono a nulla, o quasi (I-RICH, il diamante dell’ I-PHONE, un semplice disegno che appare sul cellulare), o assumono valore di scambio altissimo merci che assolvono a funzioni semplici e naturali (p.es. una sedia, ma di alto design... etc.). Alieno, alienato, è l’uomo estraneo a se stesso (Marx). Qualsiasi merce diviene un arcano, un oggetto che racchiude caratteristiche magiche e spesso indecifrabili, diverse da quelle relative al suo puro e semplice uso. Inoltre, con l’acquisto di una merce, siamo proprio noi a conferire tali caratteristiche all’oggetto che vogliamo o necessitiamo (sempre Marx). L’idolo, il feticcio, è il TOTEM (l’amico immaginario di Tom Hanks in Cast Away), un oggetto creato dall’uomo ma che assume poteri che possono arrivare a spaventarci (nel bene e nel male). 

Quando l’industria è culturale, anche la cultura si trasforma in merce; è ciò che accade alla musica ma non solo. Un’arte avanzata, in campo musicale, prevede per esempio il sottrarre l’aspetto melodico alla musica, proprio come fa Shoenberg con la dodecafonia (che possiamo dire, per esempio, essere impossibile da fischiettare). 

Per affrontare tale tematica “politica”, è importante dunque non solo toccare il tema in sé ma anche analizzare e studiare i mezzi ed i modi con i quali tale tematica viene affrontata, per esempio ci chiediamo che senso abbia toccare un tema come lo sfruttamento o la schiavitù ma con i modi ed i termini holliwoodiani....

Parliamo di un artista presente anche a Manifesta 08 (sede di Bolzano): Jorgen Svensson e di suoi due lavori. Il primo è l’esposizione di una serie di video di due fratelli psicopatici statunitensi che con l’intenzione di riprendere la fine della vita, filmavano le proprie vittime in punto di morte (ma saranno veri o falsi? Ma è veramente importante??). L’altra opera riguarda alcune azioni in cui l’artista invitava altri artisti o curatori famosi, dei quali, regolarmente, veniva smentita la partecipazione all’evento all’ultimo momento. 

Infine vediamo l’intervista a Griffi qui presente sul blog. 

 

Fabrizio

Nelson Goodman - Vedere e costruire il mondo

Avete qui il Capitolo IV: "Quando è arte?" del Libro Vedere e Costruire il Mondo (1978), di Nelson Goodman. Editori Laterza, 2008.
Se siete interessati in leggere la versione originale del testo, in inglese, qui avete tutto il libro disponibile.

F.

mercoledì 22 ottobre 2008

Laboratorio 16 ottobre 2008

- Affrontando la lettura del testo "il carattere di feticcio della musica" di Theodor Adorno abbiamo avuto modo di analizzare il "principio della star", meccanismo secondo cui lo spettatore del ventesimo secolo reagirebbe all'ascolto di un'opera musicale con giudizi del tutto omogeni, regolati da criteri esterni. Tale aberrante condizione è imputabile all'industria culturale che, sfruttando la limitata capacità mnemonica umana, fonda i propri valori sulla logica della celebrità ovvero su una modalità di comunicazione che attribuisce una produzione culturale a degli individui specifici, scelti a rappresentanza di un numero più ampio di persone. La star incarna dunque un punto saldo all'interno delle strutture conoscitive di massa. Questa strategia contribuisce in modo sostanziale alla privazione della capacità di giudizio soggettivo e, di conseguenza, alla sottrazione della libertà individuale. Lo "star system" imposto dall'industria culturale crea inoltre una sensibile sproporzione tra "valori scelti" e "valori esclusi" (esempio: ricordiamo una decina di rappresentanti della pop art e relativi "masterpieces" ma gli artisti legati a quel movimento erano sicuramente molti di più e le loro produzioni comunque rappresentative dello stesso periodo storico).
Queste dinamiche corrompono inevitabilmente anche l'esperienza legata alla musica.
Sintomatico di questa situazione è la tendenza a canticchiare, ad impossessarsi di un motivo estrapolato da una melodia, da un suo tutto.
E' inoltre riscontrabile l'attuazione di particolari forme di feticismo in relazione all'idea tematico-musicale, alla voce e alle caratteristiche tecniche e storiche degli strumenti utilizzati.

- Breve parentesi sull'opera "Anna" di Alberto Grifi e sulla rilevanza politica spesso sottovalutata nel rapporto tra sceneggiatura e produzione cinematografica.

- Proposte ed idee personali o di gruppo da sviluppare durante il corso del laboratorio.


ciao, Andrea

lunedì 20 ottobre 2008

Laboratorio 6 Ottobre 2008

06/X/2008

1.situazioni in cui bisogna scontrarsi con il non capire
discussione intorno alle esperienze personali dei partecipanti al corso in merito all’esercizio:
-registro mentalmente o annoto tutte le condizioni in cui c’è qualcosa che non capisco durante la giornata, riflettendo sulla condizione stessa in cui mi mette l’esercizio, e quindi di come mi sento nella situazione di colui che registra qualcosa che non capisce ( visto che solitamente non ci si farebbe caso)

2.the apple. F.R. David. EDITORIAL. Stuff and Nonsense. Inverno 2008
(Mots et Choses)

Lettura e commento dell’articolo.

L’articolo riflette sulla tirannia della comunicazione, che da una sorta di “regime estatico” (come l’aveva menzionata Jean Bauillard) si è trasformata lentamente in una “genuina dittatura”, a cui non ci accorgiamo di essere costantemente sottoposti.
La comunicazione sembra essere diventata l’unica ragione dell’essere e le capacità comunicative sono valutate con la massima considerazione: ecco perchè desideriamo opere, mostre e istituzioni d’arte, ed esigiamo che esse si esprimano in modo chiaro e diretto. Alle volte non ci rendiamo nemmeno conto di sentirci dire esattamente quello che vorremmo sentirci dire, quasi in modo scontato e gratuito.
Deleuze e Guattari vedono nell’arte qualcosa di totalmente diverso e lontano da questo bisogno: l’arte non è una forma di comunicazione e i lavori artistici non hanno lo scopo di aumentare la cacofonia comunicativa in cui è immerso il mondo contemporaneo.
Ciò che ci attrae nell’arte è proprio l’opposto: la promessa di una possibile fuga dalle ragioni totalizzanti e omnicomprensive che fanno capo alla comunicazione, una resistenza ai modelli convenzionali utilizzati per creare un significato.
Bruce Nauman, nella sua celeberrima opera realizzata con i neon nel 1967, scrive: “Il vero artista aiuta il mondo svelando delle verità mistiche”. Il vero artista è quindi colui che rivela i non sensi e la manifestazione multisfaccettata dell’assurdo: non comunica, non aiuta a comprendere la realtà del mondo, ma riflette trasversalmente intorno a concetti, sottigliezze, “irriducibili opacità”.
John cage, con 4’33’’, mette in scena il silenzio, il contesto dell’opera, il suo vuoto, la sua parte mancante e allo stesso tempo complementare, essenziale: la sua parte non comunicativa, taciuta, ma allo stesso tempo imprescindibile, quasi fosse la sua stessa essenza.
A livello personale l’arte sembra attrarci soprattutto quando “non vuole parlare con noi” o quando “non ha niente da dire”.
Il profondo mistero delle cose è infatti legato al loro tacere, al loro silenzio, al loro non essere palesi: l’articolo si conclude con una riflessione sul “cercare di non dire niente dell’arte”.



Alla lettura dell’articolo segue una riflessione sull’esigenza della ‘produzione’ nell’arte ( e non solo della comunicazione): il fine è produrre qualcosa, l’artista subisce molte pressioni per il suo fare.
Per quanto riguarda la realizzazione delle mostre, l’attenzione si sposta dal fare alla semplice ‘comunicazione’ dell’evento, dall’oggetto artistico all’evento in sé.


Bibliografia di riferimento:

Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, 1998
Foucault identifica le leggi che hanno determinato la struttura del nostro pensiero.

Deleuze e Guattari, Che cos’è la filosofia?, Einaudi, 2002
E’ più importante ricercare delle verità: la loro possessione è impossibile.
“A noi non manca la comunicazione, al contrario, ne abbiamo troppa”: posiamo pensare al mondo dell’arte come ad uno spazio ermetico dove la comunicazione non deve essere per forza presente.

Jean Baudrillard, The ecstasy of Communication, 1987
La sfera del privato, dell’individuo nella società,
L’oscenità inizia dove non c’è più spettacolo: dove tutto diventa immediatamente visibile.
L’estasi della comunicazione è peggiore dell’alienazione.

Marshall McLuhan, The medium is the message, 1967
Studio degli effetti prodotti dalla comunicazione nella società e nei singoli individui. La tecnologia determina la struttura della comunicazione e modula l’immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell’informazione: “il mezzo è il messaggio”.

Gianpiero Gamaleri, La galassia McLuhan. Il mondo plasmato dai media, Armando, 1976
Professore di sociologia che introduce gli studi di McLuhan in Italia.


3.costruzione di uno schema semantico partendo dal tema del laboratorio.

Ogni partecipante al corso è invitato a scrivere su un cartellone disposto al centro del tavolo delle parole che riflettano sul tema del capire e del non capire, e successivamente a collegarle tra loro con delle frecce.

Sono emerse le parole:
patto, segreto, manifestazione, archivio, memoria, chiave, organizzazione, necessità, ordine, matematica, linguaggio, comprensione, conoscenza, traduzione, interpretazione, non contraddizione, condivisione, comunicazione, scoperta, sopravvivenza, sesso, piacere, sogno, sfumature, mistero, perduto, scarto, economia, lusso, scambio, valore.



Caterina Rossato

giovedì 16 ottobre 2008

Anna di Alberto Grifi


Ciao Mauro Corti

La Torre di Babele

Articolo di Giuseppe Cantarano, L'Unità, 27 Marzo 2000.

Viene prima la parola o la cosa? (2000)

L'unità di Babele e delle sue lingue
Nel saggio del semiologo Paolo Fabbri "la storia critica dei linguaggi degli uomini, nati da sempre per raccontare le differenze degli uomini e non per separarle come vuole il mito. Perché - come diceva Heidegger - l'uomo è tale in quanto parla"

Paolo Fabbri, Elogio di Babele, Meltemi, pagine 166, lire 28.000

All'origine della nostra storia c'è la parola. La parola di Dio: "Sia la luce", è scritto nella Genesi. E "la luce fu". Soltanto dopo questa parola divina ha inizio la creazione. Le cose, per poter effettivamente essere, devono preliminarmente essere nominate. Le cose, per poter avere uno statuto ontologico, per poter essere veramente reali - hanno bisogno di essere pronunciate nella parola. In che lingua Dio ha pronunciato le sue parole, non ci è dato sapere. Sappiamo, però, che senza la parola non ci sarebbero state tutte le cose del creato. Tuttavia, nella tradizione filosofica occidentale, rovesciando l'interpretazione biblica, è prevalsa la tendenza a ritenere che nomina sunt consequentia rerum. Prima si danno le cose, dopo i loro nomi. Aristotele e Tommaso D'Aquino sono i due più autorevoli esponenti dì questo realismo filosofico.
Allora, prima la cosa o prima la parola? È un dilemma vecchio come il mondo. E altrettanto vecchia come il mondo è la ricerca dell'origine del linguaggio. Una ricerca che nel Cratilo di Platone raggiunge vertici speculativi assolutamente straordinari. Nonostante tutto, continuiamo a chiederci: perché gli uomini non parlano tutti una sola stessa lingua? Perché oggi nel nostro pianeta ci sono quasi cinquemila differenti lingue? Per colpa di Babele, si dice. I costruttori di Babele parlavano tutti la stessa lingua, quella dì Adamo. Ma la superbia trascina gli uomini a voler sfidare Dio, edificando una torre che arriva sino al cielo. Così Dio, per punire il loro orgoglio e impedire la costruzione della torre, confonde la loro lingua, in modo tale che gli uomini non possano più comprendere gli uni la lingua degli altri.
Ma Babele fu veramente una maledizione per gli uomini? Paolo Fabbri - presidente del Dams di Bologna, semiologo tra i più acuti, nonché stretto collaboratore dì Creimas - ritiene di no. Non solo Babele non rappresenta una maledizione, ma è grazie a Babele che gli uomini fanno esperienza per la prima volta di ciò che più li caratterizza: il linguaggio.
Del resto, lo diceva anche Heidegger: l'uomo è uomo in quanto parla. Fabbri propone una diversa interpretazione del mito di Babele. Una versione "nera", egli la definisce. E vero, gli uomini hanno perso la loro unità organica, hanno frammentato l'unica suprema parola. Eppure, grazie a Babele, fanno esperienza per la prima volta di un evento straordinario.
Gli uomini, per la prima volta, assaporano la differenza dei linguaggi, la loro "disparatezza". Per la prima volta gli uomini assaporano il linguaggio, "perché il linguaggio non ha senso che nella differenza dei linguaggi". I babeliani superstiti, scrive ancora Fabbri, "gusteranno la disseminazione delle lingue, delle loro differenze che si somigliano. Disparazione che può essere vissuta senza disperazione, come una difficoltà felice". Babele, dunque, non è la città della mitica unità definitivamente smarrita. Il invece quel luogo dove, proprio grazie alla confusione, è possibile tradurre reciprocamente tutte le lingue. E traduzione vuol dire innanzitutto reciproca comprensione.
Del resto, nella Babele delle nostre metropoli contemporanee, lo sperimentiamo quotidianamente nonostante la grammatica un po' sgangherata, gli uomini e le donne s'intendono. La nostra comunicazione è dunque una sorta di traduzione incessante. E nell'opera di traduzione, se guadagniamo la comunicazione, perdiamo un po' l'articolazione architettonica della lingua. Ma non è sempre detto che le lingue tradotte siano lingue più misere. Anzi, "sgrammaticare una lingua non è necessariamente impoverirla". Nella traduzione invece la lingua si rimotiva continuamente. Rimotiva soprattutto la sua arbitrarietà. Perché, in quanto sistema aperto, la lingua tende a evolvere confliggendo contro la sua arbitrarietà, Per averne una prova, basti pensare alle lingue di bricolage, come le chiama anche Umberto Eco. A quelle lingue, cioè, che nascono spontaneamente dall'incontro di due civiltà di lingua diversa. Ad esempio, i pidgin sorti nelle aree coloniali. Sono proprio i pidgin a fornire infatti una rimotivazione alla lingua nel momento in cui si trasformano in creolo.
Ma qual è il fine di questa inarrestabile rimotivazione delle irriducibili disparità delle lingue? Secondo Paolo Fabbri questo fine corre verso una futura, ma inattingibile, unità. Se alle nostre spalle c'è la città di Babele, davanti a noi c'è la sua Torre. Ciò vuol dire - secondo Fabbri - che le cose vengono sempre dopo i loro nomi. Prima la parola che la nomina, poi la cosa. Insomma, il "reale è davanti al linguaggio, non alla sua origine".


BABELE E RECIPROCITÀ: UN PERCORSO AL CONTRARIO?
di Chiel Monzone

Il termine “reciprocità”, le parti che precedono lo dimostrano, può essere declinato come dialogo, relazione, diversità di genere, sessualità, affettività, ecc. Un ulteriore modo che può essere evidenziato è quello della reciprocità connessa con gli aspetti più squisitamente linguistici e la riflessione che si intende qui fare concerne il rapporto che passa tra reciprocità linguistica e Babele.

Abbastanza noto, sicuramente, è il mito di Babele contenuto nel Vecchio Testamento (Libro della Genesi, versi 1-9), che qui sotto viene riportato:

«Ora la terra aveva una sola favella, e uno stesso linguaggio. E partendosi gli uomini dall’oriente, trovarono una pianura nella terra di Sennaar, e ivi abitarono. E dissero l’uno all’altro: Venite, facciamo dei mattoni, e cociamoli col fuoco. E si valsero di mattoni in vece di pietre, e di bitume in vece di calce: e dissero: Venite, facciamoci una città e una torre, la cui cima arrivi fino al cielo: e illustriamo il nostro nome prima di andar divisi per tutta quanta la terra.

Ma il Signore discese a vedere la città e la torre, che i figliuoli d’Adamo fabbricavano, e disse: Ecco che sono un sol popolo, ed hanno tutti la stessa lingua: e hanno cominciato a fare questa opera, e non desisteranno da’ lor disegni, finchè li abbiano condotti a termine. Venite adunque, scendiamo, e confondiamo il loro linguaggio, sicchè l’uno non capisca più il parlare dell’altro. E così il Signore li disperse da quel luogo per tutti i paesi, e cessarono di fabbricare la città. E per ciò essa fu chiamata Babel, perché ivi fu confuso il linguaggio di tutta la terra, e di là il Signore li disperse per tutte quante le regioni».

La storia di Babele ha più di un significato (peccato di presunzione da parte degli uomini, paradigma della vanità umana, punizione divina, ecc.), ma qui interessa mettere in luce quello linguistico. Sotto tale profilo Babele rappresenta uno spartiacque tra un “prima” e un “dopo”. Precedentemente la Bibbia o, meglio ancora, i rotoli biblici lo dicono chiaramente, si parlava una sola lingua, quella delle origini, la quale sembra costituire un “fondo comune” a tutti gli idiomi che successivamente si sono parlati: esso sarebbe quel che è stato chiamato Ursprache e metaforicamente indica la “volgata dell’Eden”, come afferma George Steiner in Dopo Babele.

Successivamente ai “fatti di Babele” la Ursprache si sarebbe frantumata negli innumerevoli idiomi parlati nel mondo. L’origine delle lingue è perciò la conseguenza della punizione inflitta da Dio agli uomini per la sfida da essi compiuta nei Suoi confronti (l’hybris: l’uomo, superbo, non esita a porsi contro Dio per affermare se stesso): ad ogni popolo viene assegnata una lingua particolare e mentre prima tutta la terra aveva un unico modo di esprimersi, ora gli uomini parlano lingue diverse e, inoltre, vengono dispersi e finiscono con l’occupare l’intera geografia del pianeta. Dunque è da questo atto divino che prende avvio il gran numero di idiomi esistenti e la necessità di farsi capire tra chi parla in modo diverso. La diversità linguistica – Babele – non favorisce quindi la reciprocità, a seguito della sovrapposizione di suoni (ma non solo) che comunicano pochissimo fra loro. Ne deriverebbe una coppia (“Babele/reciprocità”) che rappresenta una delle relazioni dialettiche (culturali) del XXI secolo e non solo. Tale status quo ha reso necessaria la traduzione interlinguistica affinché chi parla lingue diverse possa capirsi: se si vuole commerciare, viaggiare, negoziare, leggere, ecc., bisogna disporre di “ambasciatori” che siano in grado di comprendere l’idioma degli altri. E in tale necessità risulta evidentemente implicita l’utilità della traduzione. Ma accanto alla necessità di tradurre non si può trascurare quello che Antoine Berman chiama, in L’Épreuve de l’etranger, il “desiderio di tradurre”, che va ben al di là della necessità e dell’utilità insite nella traduzione: è qualcosa di profondo, di nascosto e conduce alla conoscenza, all’incremento del sapere inteso come insieme di cultura, di prospettive e di configurazioni diverse, oltre – si potrebbe aggiungere – alla scoperta della propria lingua e di certe sue risorse lasciate magari incolte. Come afferma Friedrich Hölderlin:

«Quanto è proprio deve essere appreso bene tanto quanto ciò che è estraneo»

La traduzione tuttavia presenta classicamente un grosso problema: l’incapacità di equivalenza, considerato che qualsiasi trasposizione da un idioma all’altro pone, spesso, insolubili problemi: pertanto la traduzione perfetta è solo una vagheggiata speranza e quello di una lingua unica è un sogno. Ma ciò non può diventare un alibi e la traduzione resta una pratica rischiosa da effettuarsi comunque; l’alternativa, altrimenti paralizzante, sarebbe la seguente: la diversità delle lingue esprime una radicale eterogeneità e la traduzione, almeno in linea teorica, è impossibile oppure la traduzione – considerata come dato di fatto – si spiega con quel “fondo comune” che rende in qualche modo possibile la trasposizione linguistica. Tale fondo comune sarebbe proprio la Ursprache, un argomento che ha suscitato grande interesse anche da parte, per esempio, di filosofi (Jacques Derrida e il «reame insieme “promesso e proibito in cui le lingue si riconcilieranno e si compiranno”»; Walter Benjamin e “l’affinità originaria”).

Quella del “fondo comune” è chiaramente una teoria “possibilista”, grazie alla quale tradurre è come scendere al di sotto delle differenze esogene ed endogene fra due lingue per andare a ricercare quegli elementi analoghi e, alla radice, comuni. Tuttavia c’è chi si spinge a negare tale possibilità: la tesi della intraducibilità è la conclusione cui sono pervenuti ad es. alcuni etnolinguisti (Benjamin Lee Whorf, Edward Sapir). Opposizioni concettuali a parte, è innegabile che la traduzione si imponga e che avvicini lingue (e culture) diverse, spesso molto distanti (in tutti i sensi) tra loro, garantendo la reciprocità comunicativa. Una osservazione attenta non mancherà, inoltre, di far rilevare come si stia da tempo verificando un fenomeno di “contaminazione” linguistica: è una delle conseguenze della globalizzazione culturale e della uniformità dei comportamenti e dei modelli che si porta dietro, cioè quella perdita della diversità tra culture – un principio così fortemente sentito in ambito comunitario europeo – che sta cambiando le “regole del gioco”. Infatti un mondo come quello attuale, nel quale non esistono pressoché più frontiere, in cui le distanze si sono ridotte notevolmente e tutti siamo a contatto con individui molto diversi, ciascuno con tratti somatici e lingue diversi – “il mondo in casa”, si può benissimo affermare –; un globo nel quale, da un lato, lo sviluppo delle nuove e rapide tecnologie della comunicazione e dell’informazione ci consente di essere informati sulle più lontane parti del pianeta e in cui, dall’altro, i mass media ci propongono produzioni e modelli multietnici e interculturali – non solo statunitensi –, un mondo dalle siffatte caratteristiche ha creato le condizioni per l’avvicinamento e il dialogo fra le varie civiltà, culture e lingue. In particolare per quel che riguarda gli aspetti linguistici, da tempo si assiste a quella “contaminazione” linguistica prima accennata: sempre più frequentemente le lingue si incontrano e si “intersecano” cedendosi a vicenda termini e locuzioni (in termini tecnici si parla di “prestiti”), arricchendosi di nuovi elementi lessicali. Il moto linguistico in questione ricorre per tutte le lingue e nessuna può dirsene del tutto esente; ciò che può variare è semmai l’intensità, cioè la maggiore o minore propensione a far propri elementi linguistici di origine straniera: a fronte di Paesi che tengono alla propria purezza linguistica (ad es. la Francia e la Spagna) ce ne sono altri (ad es. l’Italia) molto ben disposti ad accogliere termini stranieri e ad usarli, mettendo spesso completamente da parte i propri vocaboli che pur non mancano. Una rapida verifica consente di affermare come ad es. in italiano ci sia una eccessiva presenza di anglicismi: l’inglese ha messo in atto una vera e propria colonizzazione linguistico-culturale, di provenienza essenzialmente statunitense, che non riguarda però solo l’italiano, il che sta portando a un monolinguismo anglofono nella comunicazione a livello mondiale con conseguenti rischi di emarginazione delle altre grandi lingue e di estinzione di quelle minori. Oltre agli innumerevoli anglicismi l’italiano presenta anche francesismi, germanismi, ispanismi, “portoghesismi brasiliani”, degli esotismi (ad es. pochi “giapponesismi” e qualche vocabolo polinesiano), alcuni slavismi e arabismi, qualche ebraismo e altro ancora. Ma anche la nostra lingua, a sua volta, cede alcuni termini, sebbene il rapporto sia impari, ricevendo essa molto più di quel che dà, ma al di là del “chi cede a chi (e cosa)” il fenomeno in questione rappresenta una evoluzione linguistica (Ferdinand de Saussure parlava di parole che fa evolvere la langue). Da questo punto di vista Babele diviene allora un dono: la dispersione linguistica non dev’essere vista perciò solamente come una punizione divina, considerato che presenta aspetti positivi. Così la pensa Steiner, che afferma:

«Babele non è stato un disastro ma è stata una straordinaria risorsa per gli uomini. La differenza di lingue è un invito alla comunicazione»

Difatti si è trattato di un dono avendo concesso un segno di libertà: quella del linguaggio, perciò la sorpresa e lo sconcerto che il mito comporta scompaiono quando si pensa alla grande vastità di espressione, di conoscenza, e alla serie di mondi possibili e di geografie (anche della memoria) che i tanti diversi idiomi consentono. Se il linguaggio è il medium con cui si manifesta il sapere e l’esistere – «ogni lingua umana traccia una planimetria diversa del mondo», afferma ancora il citato autore – pertanto la molteplicità dei linguaggi è la libertà dell’essere/esserci. Ciò si dimostra anche nella traduzione, a ben vedere: ragionare sui costrutti, esprimere in un altro idioma un determinato concetto indica come le culture espresse nelle lingue implichino una vastità/diversità di conoscenza e, al contempo, consentano una grande libertà di movimento del pensiero sicuramente molto più dinamico rispetto al passato.

Evoluzione, si diceva poc’anzi, ma verso cosa? Verso un ricompattamento linguistico; è come se dalla frammentazione si stesse procedendo in direzione di una riunificazione, di una nuova Ursprache o, se si vuole, di un nuovo esperanto. Sembrerebbe quindi si possa affermare che si sta realizzando un lento ed inesorabile processo linguistico di senso opposto, quindi suscettibile di ritorno dal passatola presente; una sorta di Babele all’incontrario e la conseguenza di tutto ciò sarebbe che la coppia oppositiva “Babele/reciprocità” di cui prima sta venendo, forse, pian piano dissolvendosi. Se così è, ovvero se il cerchio veramente si sta chiudendo, ci vorrà sicuramente del tempo: è un procedere inevitabilmente lento e non è certo detto che ci si arriverà e, soprattutto, non è il tentativo fatto circa trenta anni fa di costruire a tavolino una lingua comune. Le lingue cosiddette “storico-naturali” sono venute determinandosi per moto naturale, involontario e lento, mentre l’esperanto ha dovuto la sua nascita a un atto voluto che non ha però sortito grandi effetti: infatti l’uso di questa specie di lingua franca ha attecchito limitatamente e riguarda un non grande numero di iniziati. Stavolta, forse, la cosa è destinata al successo e avremo una nuova lingua unica, forse la sola via per sperare in una possibile integrazione linguistica. Ciò lo si potrà dire solo fra moltissimo tempo, ma noi non saremo più qui a verificarlo.

BIBLIOGRAFIA

Derrida J., Des tours de Babel, in Teorie contemporanee della traduzione, S. Nergaard (a cura di), Bompiani, Milano, 1995 De Saussure F., Corso di linguistica generale, Editori Laterza, Bari, 1967 Ricoeur P., Le paradigme de la traduction, in “Esprit”, 253, 1999 Steiner G., Dopo Babele, Garzanti, Milano, 2004

lunedì 13 ottobre 2008

Laboratorio 8 ottobre 2008

08/X/2008

Visione dei seguenti video:

1.Joao Onofre
Casting, 2000: “Che io abbia la forza, la convinzione e il coraggio”

2.Bruce Nauman
Pinknech, 1968
Walking an exagerrated way, 1969
Stamping in the studio

3.Charles & Ray Eames
Powers of ten, 1977
(da un particolare, allo spazio infinito, all’atomo)

4.George Maciunas
07-10 feet, 1966

5.Sonic Youth

6.Georges Méliès
L’eclisse, 1907
L’uomo orchestra, 1907
(Esperimenti agli albori del cinema per testarne il funzionamento e le potenzialità, interesse per le tematiche dell’assurdo e del non senso)

7.Henry Mills
Money, 1985

8.Peter Kennedy
S/T, 1970

9.Martha Rosler
Semiotics of the kitchen, 1975
(analisi di oggetti da cucina in rapporto al ruolo della donna)

10.Martin Arnold
Piece Touchè, 1989
(edita frammenti di film classici dilatandone la durata, da 3’’ a 25’’)

11.Zbig Rybczynsky
Tango, 1970

12.Michel Gondrì

13.Negativeland
No business, 1999
(collettivo che si propone di contrastare le leggi del copyrught)

14.Vito Acconci
Open book, 1974

15.Bas Jan
Fall, 1970

16.William Wegman
S/T, 1970
(cambiare il punto di vista influisce sulla percezione)

17.Yoko Ono
One, 1965

18.Michael Snow
Waveknog, 1967
(celebrare la dilatazione del tempo: telecamera che si avvicina lentissimamente ad un oggetto)






H.U.Obrist, DO IT, catalogo:
istruzioni scritte da artisti per la realizzazione di un opera impossibile.


caterina

Laboratorio 7 Ottobre 2008

07/X/2008

Visita ai Padiglioni con le partecipazioni nazionali e gli eventi collaterali della Biennale di Architettura a Venezia:

1.PORTOGALLLO
Out Here: Disquieted Architecture
Fondaco Marcello, San Marco 3415

2.IRLANDA
The Lives of Spaces
Palazzo Giustinian Lolin, San Marco 2893

3.GRANDUCATO DI LUSSEMBURGO
Point of Wiews. 4 Questions. 44 Answers.
Ca’ del Duca, San Marco 3052

4.REPUBBLICA DI SLOVENIA
Ljibljana- Venice, New Urgency for Urban Politics
Galleria A+A, San Marco 3073

5.BILLBOARD PROJECT IN THE CITY- PATRICK MIRMAN
Palazzo Malipiero, San Marco 3198

6.L’UNIVERSO DELL’ARCHITETTO. JORN UTZON
Istituto Veneto delle Scienze Lettere ed Arti, Palazzo Franchetti, San Marco 2842


Caterina

sabato 11 ottobre 2008

Rincaro la dose, sempre con il Maestro, proponendo una sua traduzione dal Manfred di Lord Byron, per il suo Manfred, concerto in forma di oratorio.
L'estratto è l'incantesimo che gli spiriti elementali lanciano sull'esanime e inconsapevole Manfred, una maledizione che lo seguirà da lì in avanti fino alla fine dei suoi giorni:

Sia pur profondo il tuo notturno sonno
l'anima tua non potrà mai dormir
ombre vi sono che vanir non ponno
pensier che mai tu non potrai bandir
tu involto sei con un funereo ammanto
nebbia ti cinge che non può svanir.

Benché vedermi dato a te non fia
l'influsso sentirai che vien da me
siccome cosa ben visibile pria
esser deve mai sempre accanto a te
o quando nel terrore che il cor t'ingombra
volgerai nell'orma del tuo piè
sorpresa proverai che pari all'ombra
che in terra stampi l'ombra mia non è.

A Lunedì.

Nicola
Ciao a tutti, inserisco di seguito uno stralcio tratto da Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene riguardo il tema dell'estasi:

"Ci sono cretini che hanno visto la Madonna e ci sono cretini che non hanno visto la Madonna"[...]
"Vedere o non vedere la Madonna," enunciò ancora una volta l'ammalato, "è il tema".
Li intrattenne a lungo sulla storia di Frate Asino; San Giuseppe da Copertino, guardiano di porci, si faceva le ali frequentando la propria maldestrezza e le notti, in preghiera, si guadagnava gli altari della Vergine, a bocca aperta, volando.
I cretini che vedono la Madonna hanno ali improvvise, sanno anche volare e riposare a terra come una piuma.
I cretini che la Madonna non la vedono, non hanno le ali, negati al volo eppure volano lo stesso, e invece di posare ricadono come se un tale, avendo i piombi alle caviglie e volendo disfarsene, decide di tagliarsi i piedi e si trascina verso la salvezza, tra lo scherno dei guardiani, fidenti a ragione nell'emorragia imminente che lo fermerà.
Ma quelli che vedono non vedono quello che vedono, quelli che volano sono essi stessi il volo.
Chi vola non si sa. Un siffatto miracolo li annienta: più che vedere la Madonna, sono loro la Madonna che vedono.
E' l'estasi questa paradossale identità demenziale che svuota l'orante del suo soggetto e in cambio lo illude nella oggettivazione di sé, dentro un altro oggetto.
Tutto quanto è diverso,è Dio. Se vuoi stringere sei tu l'amplesso, quando baci , la bocca sei tu.
Divina è l'illusione. Questo è un santo. Così è di tutti i santi, fondamentalmente impreparati, anzi negati. Gli altari muovono verso di loro, macchinati dall'ebetismo della loro psicosi o da forze telluriche equilibranti- ma questo è escluso-.
E' così che un santo perde se stesso, tramite l'idiozia incontrollata. Un altare comincia dove finisce la misura. Essere santi è perdere il controllo, rinunciare al peso, e il peso è organizzare la propria dimensione. Dov'è passata una strega, passerà una fata.
Se a Frate Asino avessero regalato una mela metà verde e metà rossa, per metà avvelenata, lui che aveva le mani di burro, l'avrebbe perduta di mano.
Lui non poteva perdersi o salvarsi perché senza intenzione, inetto.
Chi non ha mai pensato alla morte è forse immortale. E' così che si vede la Madonna.
Ma i cretini che vedono la Madonna, non la vedono, come due occhi che fissano due occhi attraverso un muro: miracolo è la trasparenza. Sacramento è questa demenza, perché una fede accecante li ha sbarrati, questi occhi, ha mutato gli strati- erano di pietra gli strati- li ha mutati in veli. E gli occhi hanno visto la vista. Uno sguardo.
O l'uomo è così cieco, oppure Dio è oggettivo.
I cretini che vedono, vedono in una visione se stessi, con le varianti che la fede apporta: se vermi, si rivedono farfalle, se pozzanghere nuvole, se mare cielo.
E dinanzi a questo alter ego si inginocchiano come davanti a Dio. Si confessano a un secondo peccato.
Divino è tutto quanto inconsciamente hanno imparato di sé.
Hanno visto la Madonna. Santi

TV-Filter



"TV-Filter allows to downsample an ongoing tv-show to 6 by 8 pixels in realtime. A translucent projection folie is mounted on a 5 cm deep cardboard grid. The color and intensity of each pixel is determined by the correspondend part of the tv screen on the backside. The different color information of each tv line get mixed to an average color value on each 4 by 4 cm pixel. In this way it is thinkable to reduce every high definition screen to a pleasant information density."

Ecco il sito del tizio

..un oggetto che tutti dovrebbero fabbricarsi e avere in casa!
iacopo

codex seraphinianus

ecco uno dei pochi siti che parlano del misterioso codice..

http://www.almaleh.com/serafini-e.htm

nella pagina c'è anche un link a diverse immagini gustose.

giovedì 9 ottobre 2008

Promemoria lezione di giovedì 2/10. Laboratorio Cesare Pietroiusti


Il nostro incontro si è aperto con l’introduzione del testo di Theodor W. Adorno (Scuola di Francoforte) “Il carattere di feticcio della musica e la regressione nell’ascolto” (1938). Esso, in continuità e corrispondenza teorica con un altro scritto più tardivo “La società dello spettacolo”di Deborg, ha costituito il punto di partenza e la piattaforma per le nostre riflessioni sul tema.
All’interno della dialettica tra il “capire” e il “non capire” le tesi introdotte dal testo di Adorno appaiono illuminanti. Adorno infatti, trattando della degenerazione musicale delle masse, sostiene che tutto ciò che appare immediatamente comprensibile è quasi sempre falso; ciò accade in quanto si tende a considerare il livello superficiale della realtà generalmente più complessa e fatta di relazioni sommerse, con un operazione che è di isolamento di una singola porzione, di “apparente” comprensione di un frammento melodico (in ambito musicale). Approfondendo, se si tenta di scoprire perché possa piacere o dispiacere una canzonetta di successo, si può notare che il suo valore di merce di scambio prende il posto del valore effettivo: il fatto che piaccia è quasi equivalente al fatto che la si sappia riconoscere. A tutto ciò sono ovviamente sottesi processi di alienazione comuni alle società capitaliste, all’incapacità d’espressione dell’uomo che abita tali contesti e che è da considerarsi vittima di meccanismi simili: l’appropriazione delle merci equivale all’appropriazione del frammento melodico dunque alla sua comprensione. Quindi il processo di alienazione sembra consistere nel confinare le cose della realtà soffermandosi sull’apparenza, su un livello superficiale, invece che indagare livelli più profondi, le relazioni che le cose medesime intrattengono con tutto ciò che sta attorno in questo caso rapporti di produzione non dichiarati. È evidente come questa tesi rientri in categorie di pensiero d’impronta marxista, lo stesso può dirsi facendo un parallelismo, delle argomentazioni introdotte da Deborg nella sua “Società dello spettacolo”. La teoria di Adorno applicata alla musica trova infatti una corrispondenza in quella di Deborg riferita alla società odierna come spettacolo inteso non come un insieme di immagini ma come rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini. Pure questa volta quella che non si coglie è la verità la quale risiede in uno stadio più profondo retto da dinamiche nascoste, da relazioni sociali tra individui. Pertinente a riguardo l’insegnamento di John Cage che in un intervista parla del suo modo di intendere la musica, fa riferimento piuttosto a “the sound” esplorato in tutte le sue manifestazioni e potenzialità: egli sente che quello del traffico è “active”, azione. L’opera di Cage esprime la consapevolezza di considerare la realtà, quella dei suoni in questo caso, nella sua complessità e ricchezza, interamente senza tentare di isolarne frammenti. Per fare ciò bisogna tener conto della reciproca influenza che “testo” e “contesto” operano costantemente, senza che uno possa prescindere dall’altro. Esemplare l’esecuzione di 4.33’, composta da John Cage e concepita come una performance che riconosce il “silenzio”non come privazione piuttosto come arricchimento, ciò che appare “vuoto” come in realtà pieno.
Infine pure in questo caso appare palese il richiamo alla teoria di Adorno.
Questi i concetti chiave estrapolati dalla lettura del testo preso in considerazione insieme alle considerazioni sorte.

lunedì 6 ottobre 2008

Lezione venerdi 3 ottobre

Introduzione alla figura di Guy Debord (1931-1994), scrittore, regista, attivista politico e fondatore della Internazionale Situazionista.

Brevi referenze all'Internazionale Letrista e all'Internazionale Situazionista: loro radici, idee e intenzioni.

Analisi del testo La Società dello Spettacolo (1967) di Guy Debord.
221 paragrafi divisi in 9 capitoli

Tesi: società di superficie o di rappresentazioni senza profondità: società di commodifications dove tutto è display e ha un valore di scambio associato a un prezzo.
Lo Spettacolo, per Debord, è un sistema di relazioni sociali meditato per le immagini, che si sono allontanate dalle loro posizione: Il vero è diventato Falso (Cap. I, Parag. 9)
Quindi l'immagine è apparenza, sradicata e alienata, è irreale.
La società si organizza attorno all'idea di spettacolo

Relazione con il testo di Pasolini pubblicato il 9 dicembre 1973 nel Corriere della Sera, in cui l'autore riferisce che i nuovi media, in particolare la televisione, riducono l'azione del uomo all' uomo che consuma e che cerca piacere (edonismo); estraneo all'umanesimo e alle scienze umane.
Pasolini parla di 2 rivoluzioni che hanno fatto la regressione della storia:
  • Le Infrastruture (strade, motorizzazione...)
  • I Sistemi d'informazioni (televisione, che ha assimilato le differenze di un paese ricco per la sua diversità, omologazione distruttrice)

Debord insiste che nella società dello spettacolo non è più sapere ma avere (accumulazione, archivio, capitalismo)

Identificazione tra Beni/Comodità e Ego (siamo e sapiamo chi siamo tramite le cose che abbiamo).
Cosi l'ego fa parte dello spettacolo, opposto al mondo dei pensieri e delle idee.

Lo spettacolo, nutrendo l'ego, diventa l'ostacolo all'apertura alle idee e alla comprensione: è immediato, apparente e poco profondo.

Come la spettacolarità giunge a rappresentare la strategia del capitalismo: sconfitta della politica (sia Debord che Pasolini, che sostiene che il potere della televisione e delle commodifications sono più potenti del fascismo: Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà di consumi).

La Spettacolarità rappresenta la strategia del capitalismo, la sconfitta della politica e la crisi della democrazia: è un testo che segna la fine delle utopie della Modernità.

Referenze bibliografiche:

Debord, Guy, La Società dello Spettacolo, Baldini Castoldi Dalai, 2008;

Pasolini, Pier Paolo, «Contro la televisione» in Id., Saggi sparsi (1942-1973), Milano, Mondadori, “I Meridiani”, 2001, (pp. 128 ss);

Perniola, Mario, I Situazionisti, Castelvecchi, 2005.

domenica 5 ottobre 2008

intro lunedi 29 e lezione 30 settembre

Introduzione lunedi 29 settembre e lezione martedi 30 settembre.

Il corso ruota intorno al concetto di “non capire”. Il punto di partenza è l’analogia etimologica fra “capire” e “capitale”.

In effetti CAPIRE proviene dal latino CAPERE – prendere, ma anche contenere – da cui i termini “capiente”, “capace” (abile, ma anche “in grado di contenere”), catturare etc.

CAPITALE invece deriva da CAPUT (genitivo CAPITIS), che significa testa, punto di inizio, sommità, da cui i termini “capitalismo” (possesso e/o accumulo di “capi”, di bestiame ovvero di uomini), “capitàno” (colui che comanda), “capitare” (accadere d’improvviso).

Tale analogia etimologica può far pensare al “capire” come:

1 - “fare proprio” un certo significato (notare la similarità fra attribuire una proprietà ad un evento e dargli un significato);

2 - inserirlo in un determinato contesto, ovvero definirlo, de-limitarlo, chiuderlo;

3 - uniformarlo rispetto a ciò che si conosce già;

4 - accumularlo (attribuzione di importanza alla memoria).

In opposizione il “non capire” potrebbe avere a che fare con uno stato di passività-indifferenza, ma anche con:

A - uno stato di sospensione o di tensione (desiderio);

B - uno stato di accessibilità, disponibilità.

Se quindi il “capire” è soprattutto legato al contenuto (il significato) di un determinato evento, il “non capire” è piuttosto legato ad uno “stato” del soggetto, ad una sua attitudine, quindi ad un processo. Il laboratorio tenterà di dare alle fasi e alle modalità di tale processo un’importanza almeno pari rispetto ai contenuti, ai prodotti di esso.

Presentazione del docente e della collaboratrice Filipa Ramos.

Brevi auto-presentazioni degli studenti.

Chiarimenti sulle modalità di svolgimento del laboratorio, che sarà orientato alla ideazione e realizzazione di progetti individuali e collettivi sul tema ovvero sull’esperienza del “non capire”.

Lo scopo del corso non è quello di dimostrare e nemmeno presentare una teoria; piuttosto si cercherà, con l’ausilio di testi e opere di diversi autori, di stabilire paralleli, ma anche di ricevere spunti e approfondimenti.

Alla fine della lezione gli studenti vengono invitati a compiere, tutti individualmente due “esercizi”:

1) annotare e registrare tutto ciò che, nelle 24 ore successive, “non viene capito”;

2) produrre uno o più immagini (disegni o altro) che si ritengono incomprensibili, ovvero impossibili da capire.

sabato 4 ottobre 2008

Pasolini - I Medium di Massa

Guy Debord - La Refutation (sub ITA)



4D

Ecco qui quello di cui vi parlavo nell'ultima lezione, sulla 4a dimensione. Un buon esercizio sulla capacità di capire e non capire...

Filipa

venerdì 3 ottobre 2008

Testo di Pasolini sulla Televisione


Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l'adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L'abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la "tolleranza" della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all'organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d'informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d'informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l'intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L'antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l'unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l'edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c'è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s'intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?

No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d'animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i "figli di papà", i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l'hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l'analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari - umiliati - cancellano nella loro carta d'identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di "studente". Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell'adeguarsi al modello "televisivo" - che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale - diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio "uomo" che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto "mezzo tecnico", ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre.

Pierpaolo Pasolini, "Corriere della Sera", 9 dicembre 1973

Barbara Kruger

Barbara Kruger
Untitled (I shop therefore I am)
111" by 113"
photographic silkscreen/vinyl
1987

Internazionale Situazionista

Link per l'Archivio della Internazionale Situazionista. 

giovedì 2 ottobre 2008

4'33'' by David Tudor

4'33'' di John Cage
Esecuzione di David Tudor.

A domani.
AndreaDS

Theodor Adorno: Il carattere feticcio della musica e la regressione nell'ascolto

Qui potete scaricarvi il testo di Adorno: Il carattere feticcio della musica e la regressione nell'ascolto (1938).

Filipa

Introduzione FR David

Ciao a tutti,

Avete qui un'altro testo da leggere, questo è l'introduzione alla edizione 'Winter 2008' di FR David, una rivista pubblicata da De Appel
Che, per chi non lo conosce, De Appel è un'istituto dedicato all'arte contemporanea, con sede in Amsterdam.
Questo testo è in inglese e sara comentato durante la prossima settimana, quindi, di nuovo, conviene prepararlo!

Filipa

UbuWeb

UbuWeb (www.ubu.com) è un contenitore online che offre una vasta scelta di contributi audio e video, da registrazioni di poesia sonora ad opere di videoart. Tutto il materiale è consultabile liberamente in streaming direttamente dal sito.

Ecco un link che potrebbe interessarci, visto il contenuto del primo post!

http://www.ubu.com/film/debord_spectacle.html

Si tratta del film "La Société du spectacle" (1973), dello stesso Guy Debord.

ciao
Andrea D.S.

mercoledì 1 ottobre 2008

Testo I: La Società dello Spettacolo

Ciao a tutti!
Ora che il blog è creato è il momento per attivarlo e di iniziare a usarlo. Vi invito a tutti a iniziare a inserire dei commenti: testi, video, immagini, link ecc che trovate interessanti e utili per il laboratorio.
Qui potete scaricarvi la 'Società dello Spettacolo' di Guy Debord, che leggeremo nelle prossime lezioni. Questo link è valido per 7 giorni. Vi il testo completo, che cosi chi ha voglia e curiosità può leggere quello che vuole. Noi analizzeremo in classe il capitolo I: La Divisione Perfetta, quindi è utile prepararlo, anche con eventuali domande che avete.
A domani!
Filipa