venerdì 20 novembre 2009

Creare il desiderio in base delle idee

Si è vivacemente discusso sull'opera "The End" di Ragnar Kjartansson, l'artista che ha rappresentato l'Islanda alla 53° Biennale di Venezia. La mostra presenta tre componenti: un'installazione, una performance (che si svolgerà durante tutta la durata della Biennale) e delle proiezioni video.
Kjartansson ha creato una sorta di atelier d'arte in cui ogni giorno nasce un nuovo quadro che raffigura sempre lo stesso modello. I visitatori possono così osservare la spontanea crescita della produzione dei quadri ed anche il cambiamento inafferrabile dello spazio stesso. L'idea della progressiva crescita dell'opera è centrale: i primi spettatori non poterono 'coglierla' come gli ultimi, perchè ne videro solo un inizio. L'artista ha volutamente allargato la prospettiva che l'opera d'arte includerebbe. Mentre aumentano i quadri, aumenta anche la quantità delle bottiglie di birra sul pavimento, i tubi di colori utilizzati, l'odore della trementina, etc. Tutto l'inseme presenta una compatta coerenza.
A questa metodologia piuttosto aperta si contrappongono la completezza formale e la sinteticità dei quattro video. I due protagonisti musicisti (uno dei quali l'artista stesso) suonano i diversi strumenti nei posti più insoliti: il pianoforte viene ad esempio suonato su una montagna completamente bianca, oppure, semplicemente, si fischia sotto l'albero coperto di neve.. Tutti i quattro video creano un' unica melodia diligentemente programmata in ogni sua
componente.

Le riflessioni sono partite dal fatto che l'opera stessa, per lo meno l'atelier d'arte, presenta allo spettatore un’attesa che rimarrà per sempre incompiuta. Si coglie dell'opera un momento preciso, che richiede un ulteriore completamento. Utilizzando il concetto di allargamento, la pittura è stata utilizzata come pure mezzo artistico e non come punto d'arrivo, come da tradizione. Senza opporsi, senza antagonismi verso la pittura, Kjartansson è riuscito a liberarla dalla condizione di opera d'arte "finita" riducendola a puro mezzo. Facendo questo l’artista si trova in una doppia situazione: fare pittura quasi come non facendola. Dipingere pensando alla pittura creata e nello stesso tempo guardarsi da fuori come se si fosse un estraneo. Essere se stessi e contemporaneamente non esserlo. Creare un dentro ed un fuori. Questa preformance pittorica porta in sè un' incompiutezza che non cessa mai. La metodologia voluta è quella di creare un proseguimento che potrebbe continuare successivamente. L'opera ritorna se lasciata aperta. E' l'inizio di una fine che non si compierà mai. Questo processo crea una condizione di serialità, sollevando la problematica di come un’opera di tal tipo potrebbe essere venduta nel mercato dell’arte. Kjartansson non concepisce i quadri prodotti come merce ma li prende piuttosto come un'esperienza. Di conseguenza allora, sarebbe forse possibile proporre lo stesso prezzo per i quadri e le lattine, considerandoli entrambi parti costitutive della stessa esperienza? Il fatto di vendere potrebbe forse diventare uno strumento d'indagine se lo mettessimo in un discorso critico (lattina=quadro)? Per abitudine si considera la vendita obiettivo principale. Kjartansson ha dunque messo in evidenza il pregiudizio che il fine sia il commercio, che l’opera prodotta trovi il suo compimento solo nel momento della sua vendita. La commerciabilità dell'opera non è uno strumento puramente negativo, ma lo diventa quando si fa obiettivo di base.


N.Vasiljevic

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